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Non sempre nella tradizione popolare delle varie regioni la sequenza ci si presenta completa: specialmente il primo punto (processo e condanna) compare meno frequentemente e non è da escludere che questa parte parodistica rifletta  concezioni di una fase posteriore e sia stata premessa per analogia con forme di vita cittadinesca: per essere legittimamente ucciso, un individuo deve prima venire regolarmente processato e condannato a morte. Il testamento, invece, ha un'importanza grandissima, superiore a quella che si potrebbe attendere, se con questo atto colui che poi deve morire, esprimesse soltanto le sue ultime volontà. Ma invece avviene che alle disposizioni testamentarie si uniscono consigli, raccomandazioni, allusioni alla condotta dei concittadini. In questo modo vengono rivelate le magagne della comunità: e poiché siamo di carnevale ciò è fatto in una forma scherzosa, pungente, satirica”.

Paolo Toschi, Le origini del teatro italiano (1969: 229).

”Il più genuino testamento carnevalesco è quello che finge di lasciare agli eredi con generosa abbondanza, mentre in realtà non lascia nulla. Questo tipo di testamento quello che più da vicino esprime l'essenza di Carnevale, la sua fondamentale  immobilità e immutabilità, la sua partenza che presuppone il ritorno, la sua fine che lascia prevedere la rinascita, il suo rifiuto della morte, la sua impossibilità d'estinguersi. Egli è figura della natura che si trasforma, cambia,si muove, si ferma, ma mai si estingue; come l'apparente morte invernale nasconde la rinascita primaverile, così carnevale simula ritualmente la sua morte per propiziare un fertile e fecondo ritorno. Non potendo morire, non può lasciare nulla; e perciò a una morte apparente corrisponde un testamento fittizio. In questa trouvaille, nel lasciare tutto ciò che è inutile, o superfluo, o inesistente o irraggiungibile, o chimerico, o ciò che già si possiede, consiste la vis comica del testamento, uno dei componimenti più popolari che la letteratura «bassa» abbia mai preparato per il divertimento e il riso, talvolta crudele, delle classi inferiori'.

Piero Camporesi, La maschera di Bertoldo.
G.C. Croce e la letteratura carnevalesca
(1976: 219-20).