'Se i tabù e le astinenze erano il leit motiv di tutto un anno, almeno brevi, brevissimi periodi, a partire dal giorno di Sant'Antonio (il 17 gennaio), con un po' di vita all'insegna di una punta di rilassatezza, o di epicureismo, diventavano motivo di allegrezza.
Nelle campagne si scannava il porco, animale totemico carico dei peccati del mondo, e si preparavano capocolli, soppressate, salami e prosciutti con l'ultima carne fresca della stagione, il tutto poco prima dell'astinenza quaresimale.
Per Carnevale erano pronte braciole, lombate, ciccioli e sanguinacci, tortelli fritti nello strutto, grassi dolci di tradizione popolare. Certi Carnevali, qui da noi, sembravano vere e proprie rivolte popolari dovute all'assoluta ristrettezza dei giorni di magra.
La tradizione ha voluto, fino ad una trentina di anni fa, che si celebrassero, sempre secondo gli stessi rigori gastronomici, i matrimoni e i battesimi per riannodare intorno al desco, anche dal punto di vista culinario, legami che altrimenti si sarebbero sfilacciati.
Dobbiamo rimpiangere la poesia del passato ? Assolutamente no. E' importante invece non vivere come una colpa lo star bene a tavola con le persone con cui vogliamo «abbandonarci» nelle feste comandate; la convivialità è esaltazione della gioia di vivere ed eleva lo spirito e l'intelletto”
Carla Boroni, La cucina bresciana fra arte e letteratura
(in Boroni e Bossini, 1999: 97-98)