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Pellegrinaggi

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”Senza dubbio c'è un carattere di iniziazione nel pellegrinaggio: riguarda un iniziando che entra in una fase di esistenza più profonda di quella a cui era abituato. Le prove, le tribolazioni, e perfino le tentazioni che egli incontra sulla sua strada sono simili alle dure prove dell'iniziazione tribale. E infine, il pellegrino, come il novizio,  è esposto ai potenti rituali religiosi (santuari, immagini, liturgie, acque curative, contatti rituali con oggetti sacri e così via) il cui benefico effetto dipende dall'ardore e dalla pertinacia della sua ricerca. I riti tribali sono segreti; i rituali cristiani sono esposti alla vista dei pellegrini e dei comuni credenti. Ancora una volta il mistero della scelta risiede nell'individuo e non nel gruppo. Ciò che resta di segreto nel pellegrinaggio cristiano è l'intima commozione provata dal singolo individuo”.

Victor e Edith Turner, Il pellegrinaggio (1997: 55)

”Dal punto di vista individuale, il pellegrinaggio è vissuto come momento di espiazione, come evento penitenziale, un sottoporsi a fatiche, a pericoli, un porsi nell'incertezza. Il viaggio di andata, spesso compiuto a piedi, diventa una vera e propria prova di resistenza attraverso cammini difficili ed aspri, accompagnato da rinunzie alimentari, dal controllo del linguaggio, dall'astensione da contatti sessuali. Tale viaggio si configura come transito dall'ambito pagano a quello sacro, sia in rapporto al territorio sia in relazione al cerimoniale. Infatti le compagnie di pellegrini, tutt'oggi, anche quando raggiungono la meta con mezzi meccanici, giunti nei pressi, si dispongono in fila, secondo un cerimoniale legato alla tradizione locale che ben rappresenta l'immersione del gruppo nell'atmosfera sacra. Il clou di questo momento è l'incontro del gruppo di pellegrini con le figure della santità poste nel luogo; tale cerimoniale ripete gli usi del rapporto feudale tra dominus e servi.  I fedeli avanzano verso la statua in ginocchio, le baciano i piedi, e strofinano fazzoletti o i vestiti sull'immagine, a garantirsi la trasmissione della potenza sacrale che potranno riportare alle proprie case. Non possiamo quindi interpretare il pellegrinaggio come una festa, secondo la comune concezione di momento di gioia e di pienezza. Il pellegrino, infatti, si trova in una situazione atipica rispetto alla comunità che ha abbandonato, anche temporaneamente: si è posto esistenzialmente in pericolo, soffre e fa penitenza. Il sé del pellegrino è messo a nudo e le sue emozioni rese pubbliche, cosa che, per i maschi, è senz'altro una manifestazione di debolezza momentanea. La via del ritorno rappresenta un viaggio verso la normalità. I pellegrini, dalla tensione esistenziale dell'esposizione profonda alla figura sacra, operano un ritorno quasi rituale alla condizione profana (.)”.

Alfonso Maria Di Nola, Attraverso la storia delle religioni (1996: 67).