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Giuramenti, patti e promesse

Carta tematica Marmirolo Suzzara

”Nessuna delle espressioni religiose in cui la parola ha una virtù e dei procedimenti propri è più solenne di quella del giuramento e  nessuna sembrerebbe più necessaria alla vita sociale. Eppure, ed è un fatto notevole, si cercherebbe invano un'espressione comune. Non esite termine idoeuropeo di cui si possa dire che si ritrovi in tutte le lingue antiche e che si riferisca in senso proprio a questa nozione. Ogni lingua ha in questo caso un'espressione propria e, nella maggior parte dei casi, i termini usati non hanno etimologia. L'oscurità dei termini sembra contrastare con l'importanza e la generalità dell'istituzione che essi denominano. Riflettendo, si vede la ragione di questa discordanza tra l'estensione dell'istituzione e la rarità delle forme comuni. Si tratta del fatto che il giuramento non è un'istituzione autonoma, non è un atto che abbia la sua significazione in sé stesso e basti a sé stesso. E' un rito che garantisce e sacralizza un'affermazione. L'intenzione del giuramento è sempre la stessa in tutte le civiltà. Ma l'istituzione può rivestire caratteri diversi. Vi sono in effetti due aspetti che lo caratterizzano:

1) la natura dell'affermazione, che assume in questo modo una solennità speciale;

2) la potenza sacralizzante che riceve e solennizza l'affermazione.

Ecco i due elementi costanti e necessari del giuramento. Esso assume due forme, a seconda delle circostanze: sarà giuramento di verità o assertivo quando riguarda dei fatti in una disputa, o sarà giuramento di impegno o promissivo quando serve ad appoggiare una promessa.

Si può definire il giuramento come un'ordalia [giudizio di Dio, n.d.r.] anticipata. Colui che giura mette in gioco qualche cosa di essenziale, un possedimento materiale, la sua parentela, persino la propria vita per garantire la veracità della sua affermazione”.

Emile Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee. II. Potere, diritto, religione (1976: 406-07).