Negli ultimi tre giorni di febbraio i giovani vanno « incontro a marzo », alla primavera cioè, celebrando in coro, a voce spiegata, matrimoni impensati nei quali vengono allegramente saltate le spese per i corredi e le feste nuziali. Nelle vecchie corti asolane caratterizzate, molte, dalla cintura dei pioppi, un ragazzo munito spesso di un grosso lorét imbuto che funge da megafono, viene fatto salire sulla pianta più alta, perché la sua voce si diffonda, mentre il gruppo a terra, che forma il coro, si prepara alla garbata canzonatura delle nozze tra una fanciulla della cascina, la più conosciuta in genere, ed il promesso all'insolito rito d'amore.
Il « grosso » è fornito, a terra di strumenti, i più impensati. Coperchi di pentola soprattutto, e poi barattoli, campanacci, trombettine che aveva portato S. Lucia ai più piccoli, tamburi, zucche vuote, corni di bue, raganelle di legno e batole usate per la processione del Venerdì Santo, pifferi, ocarine, zufoli ricavati dai rami di salice. Nel silenzio assoluto della sera, dall'albero la prima voce intona il canto d'amore, ironico spesso e sprezzante, sempre carico di sottile vena umoristica, espressa, forse, per attenuare la severità delle offerte nuziali ed il giudizio degli « sposi ».
Si apre così nel canto un piccolo mondo contraddittorio, ma anche suggestivo; si alzano i veli di una comunità che si aggrappa al filo della fantasia, dello stupore e della rievocazione. É bastato l'incrociarsi di sguardi amorosi all'uscita dalla Messa per meritare il Ciòca mars, per essere cioè sposati dalle spassose, ma non sempre ingenue, voci ed offerte dei cantori.
Màrso, màrso sìa
el caàl l'ha pèrs la brìa
in quésta tèra bèla
gh'è 'na bèla pütèla
chi èla e chi non èla
a l'è la Rüsìna bèla
chì ghè dóme par marì
dómeghe el Carlì
Il nome dei nubendi è, dunque, già stato pronunciato.
Ora la prima voce invita ad elencare i doni che andranno alla sposa. E qui la vivacità e la scioltezza delle offerte caratterizza le sorprese di questo nuovo approdo familiare.
L'ispirazione del dono è spontanea, immediata e segue i richiami più vari alla vita domestica senza preclusioni di casta, di censo, di cultura e di bellezza, di moralità purché i « chiamati » siano, in genere, esordienti sulla strada degli incontri amorosi.
Il rito doveva essere una « primizia » per la famiglia della sposa che, però, non sempre sapeva sorridere e guardava sottecchi i genitori che seguivano con stupore e sorpresa il fuoco di fila delle « irriverenti » offerte:
Còsa ghè dóme par dòta
vintisìnch öf súta la ciòsa,
par tacapan
la gòba del Giuàn
par scragnèi
i vàs dei pütèi
per quàdér
el tabàr de sö pàder
per poltróna
el sedàs de sö nòna
per stagnà
na süca d'istà
per règàl
na sgrìfa de gàl
per ninsöi
le camìse dei fiöi
e na ferasìna
par redàr la cusìna
(Alcide Azzoni, Folclore Asolano, in Mondo Popolare in Lombardia 12 Mantova e il suo territorio, Milano 1982)