Calendario provinciale

Festività ebraiche

  • La presenza ebraica a Mantova


  • Ecco ciò che intorno alle origini della presenza ebraica nel Mantovano scrisse Melchiorre Gioia nella sua monumentale Statistica del Dipartimento del Mincio (Milano 1838):

  • ”Si suppone che lo stabilimento degli ebrei sul Mincio ascenda all'epoca della distruzione di Gerusalemme sotto l'Imperator Tito. Alcuni soldati mantovani, per quanto dice la favola o la storia, condussero degli ebrei prigionieri a Mantova.”

  • In realtà, come attesta lo storico Vittore Colorni (1988), i documenti che dimostrano la presenza di ebrei a Mantova risalgono al XII secolo e si è constatato che solo verso la fine del XIII questa presenza cominciò ad accrescersi, “quando anche Mantova fu raggiunta dal triplice flusso migratorio che fa convergere nel Nord d'Italia due robuste correnti ebraiche, l'una di origine romana, l'altra germanica, ed una minore di origine francese”.

  • Nei secoli XV e XVI i Gonzaga favorirono, per ottenerne immediati interessi economici, la presenza degli ebrei nei territori della loro signoria. A quei tempi la Chiesa vietava ai cristiani il prestito di denaro ad interesse, tale attività era invece esercitata in modo pressoché esclusivo dai banchieri ebrei, ai quali i signori di Mantova fecero spesso ricorso per sostenere le spese necessarie a mantenere i fasti della loro corte. Le famiglie dei banchieri ebrei fissarono dimora sia in città che nei centri minori, pure governati dai Gonzaga: Ostiano, Rivarolo Mantovano, Viadana, Pomponesco, Bozzolo. In ciascuno di questi luoghi sorsero dunque banchi feneratizi, sinagoghe e cimiteri ebraici.

  • Agli inizi del XV secolo Mantova fu sede di un importante evento politico che per un lungo periodo ebbe ripercussioni positive sulle sorti della vita sociale e religiosa degli ebrei italiani. Il 31 gennaio 1419 papa Martino V Colonna emanò da questa città lombarda una bolla nella quale concesse agli ebrei la facoltà di esercitare ovunque qualsiasi mestiere, di praticare liberamente i loro riti religiosi e di celebrare le loro festività tradizionali. Quando nel corso del Quattrocento gli ebrei furono espulsi da altri paesi, Mantova li accolse senza particolari difficoltà. Ciò si verificò nel 1475 con gli esuli di rito askenazita che erano stati costretti a lasciare in tutta fretta il Trentino e la Baviera, a causa di un'accusa calunniosa e infamante (di infanticidio rituale) attribuita da certi fanatici predicatori ai membri di una setta ebraica. E ancora nel 1492 e nel 1496 il caso si ripeté allorché l'espulsione degli ebrei sefarditi dalla Spagna prima e dal Portogallo poi spinsero a cercare riparo in Italia, e in primo luogo a Mantova, alcune personalità di spicco del misticismo giudaico, tra le quali meritano una particolare menzione Yosef Yabez e Yehudah ben Yaaqov Chayyat (Busi 2001).

  • La Mantova dei Gonzaga, che dai tempi della marchesa Isabella aveva preso ad accogliere a corte non solo banchieri ebrei, ma anche medici, ingegneri, musicisti e attori della stessa provenienza, si rivelò in quei frangenti un porto relativamente sicuro per gli ebrei, al riparo del quale poté ritornare a fiorire l'antico pensiero cabbalistico.
    L'avvento della stampa, che ben presto ebbe in Mantova una delle sue capitali, contribuì in quell'epoca a dare nuovo impulso alla diffusione, tra i lettori di lingua ebraica, dei testi esoterici della qabbalah, che fino ad allora erano stati ammantati di mistero avendo potuto circolare solo in forma manoscritta.

  • Alcuni episodi di intolleranza antigiudaica presero tuttavia a manifestarsi allora anche a Mantova. Nell'anno 1484 giunse in questa città il predicatore francescano Bernardino da Feltre. Questi aizzò dal pulpito l'uditorio contro i giudei e convinse i Gonzaga a fondare il Monte di Pietà, che doveva contrastare le attività economiche esercitate dai banchieri ebrei. Qualche anno dopo, nel 1496, all'indomani della battaglia di Fornovo, il marchese Francesco Gonzaga, marito di Isabella, fece demolire la casa che poco tempo prima era stata acquistata da un banchiere ebreo nel centro cittadino, adducendo il pretesto che costui aveva osato rimuovere dalla facciata un'immagine sacra. Sul luogo della proprietà confiscata all'ebreo il marchese fece erigere una chiesa dedicata alla Madonna della Vittoria. L'episodio fu illustrato da un beffardo dipintocoevo di soggetto mariano nel quale il marchese volle fare ritrarre in veste di donatori quattro componenti della famiglia del banchiere espropriato Daniel Norsa. Il quadro, che ora sta nella cattedrale di Sant'Andrea, ha un notevole valore documentario, in quanto rappresenta, come ha osservato il giovane storico Alberto Castaldini (1998), un raro ritratto rinascimentale di un gruppo familiare di ebrei italiani.

  • Malgrado i gravi inconvenienti testé descritti, per tutto il corso del XVI secolo gli ebrei continuarono a trovare in Mantova condizioni di vita decisamente migliori di quelle che essi avrebbero potuto sperimentare in altre città italiane. Così che, quando alla fine del Cinquecento gli ebrei furono definitivamente cacciati dal ducato di Milano, la terra dei Gonzaga finì con l'accoglierne gran parte.

  • Il nuovo secolo iniziò però in Mantova con un gravissimo episodio antisemita: il rogo dell'ebrea Jonadith Franchetta, di anni settantasette, accusata di essere “striga” e di aver “magliato” molte persone. “La donna fu abbruciata viva nell'attuale piazza Sordello il 22 aprile 1600, mentre era duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga” (Castaldini 1998).

  • Dieci anni dopo, in ossequio alle disposizioni impartite da papa Paolo IV, i Gonzaga istituirono anche nella loro città il ghetto(Colorni 1998), vale a dire un quartiere separato ove furono concentrati gli oltre 2.000 ebrei che a quel tempo risiedevano in Mantova. Robusti portoni, che dovevano essere chiusi dall'esterno al tramonto e venivano riaperti solo all'alba, servivano a isolare in tempo di notte questa porzione di tessuto urbano che fu delimitato dalle attuali vie Calvi, Pomponazzo, Spagnoli, Giustiziati e Dottrina Cristiana.

  • Con il passaggio dal ducato gonzaghesco all'impero asburgico, avvenuto nel 1707, le condizioni urbanistiche del ghetto di Mantova non mutarono granché e sarà solo con la conquista della città virgiliana da parte delle truppe di Napoleone che i portoni del ghetto furono atterrati il 21 gennaio 1798. Già da circa vent'anni l'imperatore d'Austria Giuseppe II aveva riconosciuto però a tutti i suoi sudditi ebrei il diritto al possesso di beni immobili e aveva abolito l'uso del “contrassegno” che per secoli (si veda il quadro della dedicazione della chiesa della Madonna della Vittoria) aveva costituito per essi una sorta di marchio infamante.

  • Dopo l'atterramento delle porte del ghetto di Mantova il demografo ed economista giacobino Melchiorre Gioia ebbe ad osservare con occhio clinico che “l'intolleranza che condannò gli ebrei entro ristretto spazio, e lo stato d'abbiezione in cui li tenne, influì sulla loro salute, per l'ordinario più macilenta di quella de' cristiani”.
    Nel 1811 lo stesso Gioia registrò inoltre la presenza nella città di Mantova di poco meno di 2.000 ebrei e altri 200 egli ne enumerò nel resto del Dipartimento del Mincio, sparsi tra Sermide, Revere, Ostiano e Rivarolo. Ma alla fine del XIX secolo, a causa della graduale attrazione delle città maggiori e, in primo luogo, a seguito del ricostituirsi della comunità ebraica milanese, in Mantova non rimarranno a risiedere che poche centinaia di ebrei.

  • Durante l'età della Restaurazione la comunità israelitica mantovana fu fatta segno a qualche deplorevole atto di intolleranza. Incidenti tra giovani ebrei e cristiani scoppiarono in città per futili motivi nel giugno 1842. Il sacerdote e patriota Enrico Tazzoli, in una sua lettera al Cantù, osservò che quegli episodi di violenza, in apparenza insignificanti, giunsero purtroppo a incrinare “tra l'una e l'altra popolazione una consuetudine amichevole”.

  • Un decennio dopo, nel 1852, Ippolito Nievo affrontò nel suo dramma l'Emanuele, ispiratogli dalle vicende personali di un amico ebreo di Sabbioneta, il tema della questione ebraica e incitò i giovani israeliti “ad entrare a viva forza nella società, a superare le barriere del ghetto, a sparpagliarsi, a confondersi con gli altri. Così -scrisse l'autore- non sarete una tribù in antagonismo colla società, ma sì una località di questa.”

  • L'appello lanciato dal Nievo non restò lettera morta: anche gli israeliti mantovani diedero il loro generoso contributo alla causa del Risorgimento, nonché alla costruzione del nuovo stato unitario. Ma nel 1938, a seguito dell'introduzione in Italia delle leggi razziali volute dal fascismo, anche per i circa 600 ebrei rimasti a Mantova iniziò una nuova diaspora e, per effetto della deportazionedi oltre quaranta ebrei razziati in città nel dicembre del 1944 dai nazifascisti e di un'altra trentina di ebrei mantovani già in fuga, rastrellati altrove, la comunità israelitica mantovana si ridusse a quei pochi, ma tenaci custodi della sua secolare memoria, che essa ora annovera.

  • Della presenza ebraica nella città di Mantova rimane a testimonianza la casa del rabbino nell'antico ghetto (angolo via Bertani con via Governolo), la secentesca sinagoga Norsa, in via Gilberto Govi, mentre la più moderna “ scuola grande “ di via Calvi fu saccheggiata all'indomani della promulgazione delle leggi razziali (una pagina nera nella storia dei mantovani) e venne poi demolita nel 1939 per lasciare posto a un albergo. Appena fuori città, oltre il ponte di San Giorgio, vi è ancora oggi in uso il cimitero israelitico con le sue caratteristiche tombe lasciate volutamente spoglie di ornamenti e prive di fiori.

  • G.C. Barozzi

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