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Letture: Danilo Montaldi, La Matana de' Po

Copertina del libro di Danilo Mantaldi - Bisogna sognare, scritti 1952-1975

Danilo Montaldi (1929-1975), teorico politico eterodosso formatosi a stretto contatto con la gauche parigina, organizzatore di cultura e autore impegnato nel senso più autentico del termine -senso che oggi sembra essere andato, purtroppo, completamente smarrito-, fu tra gli anni '50 e la metà dei '70 uno dei maggiori e più originali protagonisti della ricerca sociale in Italia. Pubblicò i suoi principali lavori presso Feltrinelli ed Einaudi.
L'ADL ha voluto rendere omaggio a questo importante intellettuale cremonese dedicandogli un intero capitolo del III° volume cartaceo dell'Atlante, affidato alla giovane storica Costanza Bertolotti, la quale ha utilizzato -come fonte primaria- le carte dell' "Archivio Montaldi", di recente depositate dagli eredi presso l'Archivio di Stato di Cremona.

Nella versione multimediale dell'ADL proponiamo invece, qui di seguito, un breve scritto, redatto da Danilo Montaldi nel 1959, che servì da commento di un filmato-documentario di cui egli stesso firmò la regia:

La Matana de' Po
Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Bartolucci e Danilo Montaldi
Montaggio: Renato May
Fotografia: Giuseppe de Mitri
Aiuto operatore: Giosuè Bilardi
Testo e regia: Danilo Montaldi
Supervisione: Mario Gallo.

Un ringraziamento particolare rivolgiamo alla signora Gabriele Seelhorst-Montaldi, che ci ha generosamente concesso in visione una copia del film del marito, dal quale abbiamo tratto anche l'immagine che illustra il testo.

"Nella Bassa lombarda, ad uguale distanza dal Polo Nord e dall'Equatore, scorre il fiume Po. Il Po è uno dei grandi fiumi del mondo, come il Nilo, come l'Eufrate e il Fiume Giallo. Vi trascorrono gli uccelli di passo; le stagioni le annunciano i migratori. Gli abitatori delle sue rive sono parte di una società solenne, agricola, violenta e selvatica che segue soltanto le leggi perenni della terra. Tra le nebbie dei mattini, o di sera, si accendono sull' acqua, come brevi falò, i dialoghi e le canzoni.
A cavallo del 45° parallelo, da una riva ad un'altra spiaggia, da una stagione a questi boschi, tra la piena e la secca, continuano ad essere costumi pagani: senza illusioni. I pioppi, il Po, i deserti: dove sono i limiti tra la fantasia e la realtà? Gli uomini del Po vivono nelle baracche, sono gli abitatori di una zona franca, di una idea di città che il bisogno ha però costantemente mantenuto nell'incompiuto. Può essere su una lama di sabbia, su un'isola o sotto le piante. Essi vivono qui, e le notizie dal mondo arrivano con i giri dell'acqua. Essi guardano al Po come ad un Eldorado che dà la fortuna a chi la cerca, lo considerano un filone di ricchezza sul quale ci si mette a cavallo (a piedi nudi o con grandi gambali) per tutta la vita. Gli uomini del Po vivono di quanto dà il fiume: dei vari tipi di pesca, della racccolta di roba portata dall'acqua, piante, scatole, bottiglie. E dell'avventura costante che offre l'ambiente.
Questi sono i luoghi degli appuntamenti dei diseredati, delle imprese dei cavalieri della luna, dei convegni dei ribelli. Nei boschi del Po hanno trovato rifugio i disertori della Grande Guerra, e nel '44, nel periodo della guerra civile, i renitenti e gli sbandati. Un uomo che conosce anche questi aspetti del fiume, ne conserva per sempre i misteri. Ma le ragazze e le donne non rimangono a lungo sul fiume.

La Matana (dall'omonimo film documentario)

Vengono a viverci soltanto quando hanno un rapporto d'amore con un uomo del Po. Il loro rapporto col fiume è quindi soltanto indiretto, e se ne vanno se l'occasione le muta. Esse evitano, così, le insidie della matàna de Po. È l'uomo che rimane sul fiume - perché sono ancora due le cose: acqua e terra -, e vi ritorna a campare la vita.
La matàna del Po è come una febbre leggera, è una specie d'influenza che esercita il fiume sugli abitatori della riva. La matàna trattiene un fondo di amarezza contadina e di allegria confuse.
Al di là di queste consuetudini, esiste un Po che è diverso, che offre altro, oltre a questo: è il Po della ghiaia per le imprese edili, è il fiume dal quale nascono le città. È dal fondo del fiume che comincia a nascere la città. Ma gli uomini che sono nati sul fiume, non hanno mai abitato altrove che in piccole baracche perennemente messe in pericolo dalle piene, dalle alluvioni, dalle frane d'acqua. Ricacciati dalle sponde essi puntellano non lontano la loro baracca, o ripiegano per una giornata in qualche vicino ritrovo.
Se ne vanno allora dal Mentu che anche lui dopo trent'anni di vita all'estero, dopo trent'anni di avventure diverse, è ritornato sul Po. Ai tavoli siede in quei giorni una società di uomini solitari: solitari ma non isolati. È perché essi ci tengono alla propria individuale libertà.
E il mondo (come è grande e come è complesso) si fa conoscere attraverso gli altri compagni che sono tornati dai confini della Terra, attraverso un altro uomo, la cui vita è ugualmente animata dal soffio della matàna.
Attorno ai tavoli del Mentu cambia la canzone. Gli uomini del Po sanno di poter riascoltare, nel canto, la voce di una speranza e di una fraternità senza limiti.
Forse Orlando [Orlando P., alla cui autobiografia, raccolta da Montaldi, ora pubblicata in "Autobiografie della leggera", Torino, Einaudi, si ispira il filmato] e i suoi compagni non ne intendono tutte le parole. Ma le parole, sul Po, non hanno mai avuto importanza. È il senso profondo della speranza, che vale; è il senso della fraternità, quello che prevale. E ogni cosa ha un suo senso; come ne ha uno l'acqua del fiume, che scorre.
Uomini, donne, acqua e terra: così è il mondo".

Danilo Montaldi