(3 maggio La Santa Croce)
da Italo Sordi, Teatro e rito.
Saggi sulla drammatica popolare italiana
Milano, Xenia edizioni, 1990
su licenza dell'autore
ALTRE TRACCE DI RITUALITA' DRAMMATICA A CERVENO
Si trattava per buona parte di attività gestite dai giovani, “tuta roba de gioentü”. A Capodanno si aveva la “hera incrusera”, la sera degli incroci, in cui le strade (ovviamente prive di illuminazione) venivano intralciate con carri messi per traverso, con fili di ferro, con fascine in modo da far inciampare e cadere la gente che rientrava tardi.
[Nella Notte di Natale, e soltanto in quella notte, chi voleva apprendere le formule di incantesimo doveva incontrarsi a un crocevia con “uno che sapeva segnare” e farsele recitare da lui. Questa “sera degli incroci”, a pochi giorni di distanza dal Natale, sembrerebbe una sorta di controaltare parodistico di quella pratica, che peraltro non sappiamo quanto e quanto spesso fosse seguita nella realtà.]
”Una volta sono andati nel bosco, hanno fatto le… noter ghe disom strope [ritorte di rami]… avevano legato tutte le porte e la mattina non si potevano aprire”. Altro scherzofavorito, in quell'occasione, era quello di rubare alle ragazze dei vestiti, che la mattina dopo si vedevano esposti in qualche altro posto alto e ben visibile.
Occasione di drammatizzazioni era naturalmente anche il Carnevale, che era (come avviene anche altrove) festeggiato in tempi successivi dalle diverse classi di età: i giovani, ai quali erano riservate l'ultima domenica e il successivo lunedì, al martedì “i molàa al mas”, lasciavano il campo ai maritati e agli anziani. Si passava di casa in casa a gruppi, con una damigiana, e chi voleva ci versava del vino: nel frattempo i mascherati intrattenevano con scherzi e scenette la gente di casa. Talvolta (”quell'anno che riuscivano a mettersi d'accordo”) veniva messo in scena un processo al Carnevale, che, condannato, recitava un testamento burlesco poi finivaimpiccato.
Particolarmente interessante l'uso di proclamare matrimoni burleschi, praticato la sera del primo marzo. Un gruppo di giovanotti raggiungeva una stalla in cui sapevano che si trovavano un o più ragazze: uno ne bloccava la porta, per impedire a quelli che stavano riuniti dentro di uscire e scoprire cosi la loro identità, tutti intonavano una formula che diceva:
Vena mars, en bonura sia
elbo a l'erba e 'l cadl a l'umbria
al cadl a l'umbria e la pegura a la [ ? ]
per maridà chela s'ceta bela
chi el, chi no el ?
E nominavano un marito improponibile: un poveraccio, mentre magari la ragazza era un ottimo partito. Poiché i gruppi di giovani che giravano erano diversi, una stessa ragazza in una sera poteva venire “maritata” in questo modo parecchie volte.
Cosa molto singolare, si ha precisa memoria, infine, che la sera della celebrazione della Santa Croce del 1933, venne recitata sulla piazza prospiciente il Santuario una Passione di Cristo, con un vero e proprio testo di cui non sono riuscito a trovare traccia. Gli attori erano persone diverse da quelle che avevano figurato nella processione: la scena era costituita da tre palchi separati su cui salivano gli attori, mentre al di sopra sulla destra sorgevano le tre croci. Lo spettacolo ebbe due repliche, poi non venne più ripreso.