Comune di Nuvolera

Il calendario: date fisse

L'antico tabù del sercol di Nuvolera

  • Carte tematiche[Leggende e miti di riferimento]
  • Il cocuzzolo del monte Cavallo era considerato “inviolabile” - Alcuni dilettanti archeologi di Virle vi hanno scoperto una pietra istoriata, come a Stonehenge.
  • Dalle parti di Nuvolera, sul monte Cavallo, un cocuzzolo che si staglia a quattrocento metri d'altezza e fa da confine tra il comune di Nuvolera e la località di Virle, da tempo immemorabile si trova el sercol. Pochi possono raccontare di averlo visto di persona. El sercol si è trasformato, col passar degli anni, in un luogo tabù, una specie di spauracchio per i bambini “cattivi” della zona, che a ogni marachella ricevevano un ultimatum terribile: “Se non stai buono ti porto su al sercol “. Da Nuvolera, al sercol non ci si arriva: non una strada, non un sentiero praticabile, e parte della minaccia riguardava probabilmente, in origine, una lunga ascesa per i boschi di castagno, tappezzati di rovi spinosi, che rendono difficile il cammino.

    Protetto dal suo sottobosco impenetrabile, el sercol si trova di fatto isolato, fuori dal tempo e dalla curiosità dei camminatori della domenica, e continua a custodire con gelosia il suo segreto. Neppure dalla parte di Virle è facile accedere al cerchio misterioso di sassi allineati e al pietrone centrale con la “magica” incisione. Qualcuno però ci ha provato lo stesso, affascinato dalla tentazione di scoprire qualcosa di più sul sercol famoso e dimenticato da tutti.

    Manlio Faini, che lavora con i fratelli nell'omonima ditta di autotrasporti di Virle, sorride sotto i baffetti biondi, si schermisce e alla fine spiega: “Con un gruppetto di amici, al bar, da qualche anno abbiamo cominciato a discutere di archeologia: così per passatempo, per curiosità. E l'anno scorso abbiamo deciso di fare una capatina su al sercol, per scoprire esattamente dov'era e cosa poteva essere stato, migliaia di secoli fa”.

    Da Virle esiste una strada, ormai quasi impraticabile soprattutto d'inverno, che porta su su fino al monte Cavallo, e i nostri amici, armati di macchina fotografica e cinepresa, l'hanno imboccata alla ricerca del sercol, per scoprire il periodo preistorico dal quale probabilmente deriva. Si sono trovati di fronte a un grosso pietrone dall'aspetto innocuo. Ma è bastata una grattatina sulla superficie ricoperta di terriccio per scoprire, profondamente scavata nella pietra levigata, una strana figura, che a prima vista somigliava al solco lasciato dall'ancora di una nave immaginaria, ma che, a un'osservazione più attenta, si è rivelato sorprendentemente simile a una silhouette umana. Appena sopra la testa dell'omino preistorico, sempre intagliato nella pietra c'è un segno circolare: un piccolo sole che sembra l'impronta di una boccia. La direzione del sole scavato nella pietra “punta” con incredibile precisione verso ovest, verso il tramonto. E i nostri apprendisti archeologi si sono presi la briga di seguire il tracciato del sole che muore, per scoprire, a un centinaio di metri di distanza, un altro “reperto” interessante. “Non l'abbiamo ancora liberato dalla terra - racconta Manlio infervorandosi - ma potrebbe essere una specie di stele sulla quale i nostri antenati del neolitico avevano verosimilmente tracciato i segni che corrispondevano al tramonto del sole nelle varie stagioni dell'anno”.

    Nel periodo durante il quale gli uomini si sono trasformati da cacciatori girovaghi in agricoltori, i nostri antenati di Nuvolera avevano costruito, secondo la prima ricostruzione (non ancora scientificamente accertata) del Faini e dei suoi amici, una specie di centro solare, come quelli che spesso si vedono troneggiare, splendidi e misteriosi, sulle pianure della Gran Bretagna, come Stonehenge, per intenderci. Sono tutte congetture di appassionati entusiasti o dietro alla leggenda del sercol si nasconde davvero una traccia della vita dei nostri antenati preistorici ?

    Spetterà a qualche professorone o cattedratico esprimere il verdetto finale, ma il merito della suggestiva scoperta va tutto a Manlio Faini e al suo inseparabile amico Angelo Confortini, che per curiosità e animati da tanta passione, si sono presi la briga di andare a svegliare dal suo riposo di secoli un luogo che, oltre ad essere entrato nella tradizione popolare, sarà forse in grado di parlarci di un pezzetto di storia di tanti, tanti anni fa. A volerlo sistemare per benino, togliendo i rovi e le erbacce che si arrampicano attorno al masso centrale e soffocano per metà, il cerchio regolare di pietre bianche ammonticchiate a formare una specie di muretto, el sercol riacquisterebbe probabilmente gran parte del suo fascino antico, e potrebbe, chissà, diventare méta di curiosi e turisti. Fino a che rimarrà così, abbandonato a sé stesso, parlerà di lui solo una vecchia, moribonda leggenda popolare.

    Ritaglio stampa, fonte non identificata
    Archivio Fondazione Civiltà Bresciana

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