Comune di Berzo Inferiore

Il calendario: date fisse

San Glisente un santo non cristiano ?

(ultima domenica di luglio)

La leggenda
La festa tra storia e leggenda
La festa ieri e oggi

  • “E' interessante notare come nella Leggenda di San Glisente ritorni sempre il motivo dominante del fuoco. Addirittura Glisente accende due falò per comunicare con i fratelli Fermo e Cristina che, dal versante opposto della vallata, rispondono con l'accensione di altri fuochi. E' indispensabile anche tener presente l'ubicazione del santuario di S.Glisente che è sovrapposizione ad un primitivo luogo scavato a caverna sulla cima d'un monte dal vertice tondeggiante e verde fino alla sommità. E' in posizione panoramica eccezionale. Nelle giornate serene si domina di lassù tutta la Media Valle da Breno a Cedegolo, non chè il versante a ponente della Bassa Valle. Non è perciò fuori luogo pensare che lì, fin dai tempi preistorici, ci sia stata almeno una pietra dedicata alla divinità dei pascoli e delle greggi. Forse era un tempio scavato sottoterra perchè il dio potesse trovarvi rifugio nelle tempeste. In epoca gallica si costruì qualche cosa di più, in muratura a secco e poi, nel Medio Evo cristiano, un santuario con pietre vive cementate con calce… e la leggenda del santo, successore alla divinità pagana. Quel monte dovette attirare l'attenzione degli uomini più antichi: da lì sorgevano tumultuose le nubi cariche di pioggia fecondatrice per i pascoli e le colture; il bello e brutto tempo nasceva di lassù.

    Dunque luogo magico per natura, da dove la divinità poteva rivelarsi irata, col fragore del fulmine e del tuono, ma anche benevola col sorriso dei rosei tramonti della sera che preannunciavano il bel tempo del domani.

    Ma c'è un argomento che nessuno ha mai preso in considerazione: quello del nome. Gli antichi non attribuivano a caso le denominazioni ai luoghi che scoprivano ed abitavano. Corrispondevano esattamente a caratteristiche e qualità concrete, legate alla posizione geografica, al clima, alla funzione particolare di una località. Mentre per i più Fermo e Cristina sono derivati dal martirologio cristiano e perciò i loro santuari potrebbero datarsi attorno all'anno mille (a meno che non si tratti di latinizzazione di termini locali: Véren e Grédhéna), il nome “Glisente” è invece del tutto singolare. I soliti patiti del classico pongono molta attenzione alla traduzione latina Glisens e deducono subito che evidentemente il nome classifica un uomo che visse da cavernicolo, come il glis, topo campagnolo.

    Ma il nome latino è una traduzione arbitraria del vero, autentico nome originale, che è quello dialettale: Ghidét o Ghisét che sulla bocca dei più anziani suona anche Ghédét.

    La radice Ghe-ghi-ga ecc. è molto frequente nel dialetto camuno, come in quello della limitrofa Val Trompia. E' di origina gallica e significa: terra, territorio, pascolo. Il Ghédét sarebbe dunque il campagnolo, il pastore. Non sarà fuori luogo rilevare come esistano tuttora cognomi di famiglia derivanti dalla stessa radice (Ghedù o Ghidù = Ghidoni; Ghidì = Ghidini; Ghedèl o Ghidel = Ghidelli; Ghedenèl = Ghidinelli; Ghéda o Ghésa = Gheda o Gheza) che significano pastore, pastorello, contadino ecc.

    Anche il termine Sant, in Valle, non significa sempre una persona santa, ma anche un luogo, un'edicola sacra (santella). Il Sant Ghedét non presuppone dunque necessariamente l'esistenza di una persona, ma definisce e rivela l'esistenza di un luogo sacro ad una divinità pastorale. Il Bergimo dei Galli, il Pan dei Romani, in Valle Camonica poteva benissimo chiamarsi Ghedét.

    Può darsi che nel Medio Evo, secondo il costume corrente in quel luogo abbia abitato anche un eremita. Ma non mi pare troppo verosimile, sia per l'ubicazione troppo distante dai centri abitati, che per il clima invernale insostenibile anche per un uomo penitente. Le ossa che furono rinvenute in quell'antro potrebbero essere anche quelle di un pastore morente che si era rifugiato in quella grotta. La leggenda ha in sé reminiscenze comuni ad altre mitologie similari, dove la divinità dei pastori si nutre del latte di pecora e di frutti strani maturati apposta per sfamare il nume. Da millenni, forse, il popolo che abitò la media Valle Camonica, guardò al monte San Glisente come gli Ebrei guardavano al Moria o al Carmelo.

    Poi venne la fantasia degli agiografi e di certi storici che fecero di San Glisente un ex soldato di Carlo Magno, ritiratosi a far vita santa su quel monte, i suoi fratelli, Fermo e Cristina, scelsero le alture sull'altra sponda della Valle, sopra Borno e Lozio. A parte il fatto se Carlo Magno e il suo esercito sia mai venuto in Valle Camonica, la personificazione militare si può spiegare con la fede invalsa dall'epoca longobarda in poi. Le divinità protettrici dei pagani divennero i Santi defensores dei cristiani. Un santo difensore, evidentemente, doveva concretarsi in un legionario dell'esercito vincitore, quello Romano, con tanto di lorica e di spada… Ecco in Valle molti defensores, primo fra tutti Michele Arcangelo (con fondamento biblico!). I Longobardi prima, e poi i Franchi lo chiamavano il Salvator (donde anche le varie dedicazioni a SS.Salvatore che, in origine, non riguardavano il Verbo di Dio…).

    In Valle Camonica e fin giù nella piana di Romano Lombardo era facile trovare la venerazione per un santo dal nome eloquente: Defendente, colui che difende. Per tutta l'Europa si diffonderà poi una vera folla di santi Auxiliatores.

    Sul tema del Santo difensore, Glisente non potè essere un soldato romano, ma un santo più vicino ai Camuni per razza e per cultura. Un soldato gallico che depone le armi rifiutando la violenza per armarsi soltanto di fede, di speranza e di amore… Una gran conquista ideologica per quei tempi, ma consona al concetto del Santo di pastori, che abitava sul montesacro, vestito di pelle di pecora (la divinità pastorale fu sempre mansueta).

    Glisente sarà il difensore dei popoli con le armi della preghiera e della penitenza.

    Egli assurgerà a simbolo, a personificazione del pastore camuno, sempre errante sui pascoli montani dei crinali che convergono al monte di San Glisente prima e poi al più ardito Maniva.

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